Abbiamo intervistato il responsabile della Struttura Speciale di Oncologia genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, che ci ha illustrato i “take home message” del Congresso di San Francisco.

Si è svolto dall’8 al 10 febbraio a San Francisco il simposio annuale dell’American Society of Clinical Oncology sui tumori genitourinari (ASCO GU 2018). Le numerose evidenze presentate in materia di prevenzione, diagnosi e trattamento di queste patologie sono state discusse il 2 marzo a Milano, in un incontro organizzato dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). “Alcuni dei risultati emersi ‒ ha commentato Giuseppe Procopio, responsabile della Struttura Speciale di Oncologia genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano ‒ andranno sicuramente a modificare la nostra pratica clinica”.

Dati particolarmente interessanti, ad esempio, sono emersi nell’ambito del carcinoma della prostata grazie alla presentazione dei risultati dei trial di fase 3 SPARTAN e PROSPER. Nel primo di questi, i ricercatori hanno valutato, su un campione di 1207 uomini affetti da carcinoma della prostata non metastatico resistente alla castrazione e tempo di raddoppiamento del PSA inferiore o pari ai 10 mesi, l’efficacia di apalutamide rispetto a un placebo (gruppo sperimentale: 806 soggetti; gruppo di controllo: 401 soggetti). L’end point primario era costituito dalla sopravvivenza senza metastasi, definita dal periodo di tempo trascorso dalla randomizzazione all’individuazione di metastasi mediante esami di imaging o alla morte. Questo si è verificato in media dopo 40,5 mesi nel gruppo di pazienti sottoposti a trattamento con apalutamide e dopo 16,2 mesi in quello dei pazienti che avevano ricevuto il placebo (P < 0,001).

Risultati simili sono stati poi ottenuti nell’ambito del trial PROSPER, nel quale si è andati a valutare l’efficacia di ADT + enzalutamide, rispetto a ADT + placebo, in un campione totale di 1401 pazienti (randomizzati in rapporto 2:1). Anche in questo caso l’end point primario, costituito dalla sopravvivenza senza metastasi, è risultato maggiore nel gruppo sperimentale: 36,6 mesi rispetto 14,7 mesi (P < 0,0001). “I dati mostrano che, se somministrate nelle fasi precoci della malattia, entrambe queste terapie ormonali di nuova generazione sono in grado di rallentare la formazione delle metastasi”, ha sottolineato Procopio. “Questo ci conferma, ancora una volta, che i farmaci migliori andrebbero somministrati il prima possibile”.

Due principali classi di evidenze, invece, per quanto riguarda i carcinomi renali. La prima di queste riguarda l’utilizzo di combinazioni includenti agenti immunoterapici – come atezolizumab o pembrolizumab –risultate più efficaci, almeno in alcuni gruppi di pazienti, del trattamento standard con sunitinib. In particolare,lo studio IMmotion 151 ha valutato la combinazione atezolizumab e bevacizumab nei pazienti con carcinoma renale metastatico non trattato. La combinazione tra l’agente immunoterapico atezolizumab e l’inibitore dell’angiogenesi bevacizumab si e’ rivelata piu’ efficace nel rallentare la progressione tumorale rispetto a sunitinib in accordo alla valutazione radiologica condotta dagli investigatori. “Ora bisognerà aspettare follow up più lunghi e dati prospettici comparativi – ha aggiunto Procopio – , ma queste evidenze andranno sicuramente a cambiare la pratica clinica”.

Una seconda classe di evidenze presentate ad ASCO GU 2018 riguarda invece i carcinomi renali a istologia rara, come le forme papillari. Un’analisi realizzata su 244 soggetti con patologia avanzata – inclusi nell’International Metastatic Renal Cell Carcinoma Database Consortium –, ad esempio, ha messo in evidenza come un intervento di nefrectomia citoriduttiva permetta di ottenere una maggiore sopravvivenza libera da progressione di malattia e sopravvivenza complessiva. Risultati simili sono poi stati ottenuti, su un campione di pazienti affetti da carcinoma renale papillare avanzato, con un trattamento a base di crizotinib. “Un inibitore del recettore MET come crizotinib può offrire dei vantaggi rilevanti, in termini di attività clinica e controllo della malattia, nei soggetti il cui standard di trattamento non è chiaramente definito”, ha spiegato Procopio.

Infine, nell’ambito dei carcinomi uroteliali, sono stati presentati i risultati intermedi dello studio di fase 3 KEYNOTE-045. Questo ha messo a confronto l’efficacia di un trattamento di seconda linea con pembrolizumab, rispetto alla chemioterapia, in pazienti con carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico. Al follow up a 2 anni è emerso un vantaggio significativo, sia in termini di sopravvivenza complessiva che di sicurezza, nel braccio dei soggetti sottoposti a pembrolizumab. “Questo suggerisce come, almeno per alcuni gruppi di pazienti con questa patologia, – ha concluso Procopio – l’immunoterapia possa offrire un controllo di malattia più lungo rispetto alla chemioterapia”.